Intervista di Claudia Squitieri al Circolo Nautico di Castellammare di Stabia.

https://youtu.be/6frjqHf5F2U?si=ytMEP-8JyG8qGXVX

Azzurro Amianto recensione di Alba Nastro.

Il 22 febbraio ho presentato Azzurro Amianto alla libreria Mondadori di Castellammare di Stabia, grazie al gruppo di lettura dell’Associazione Basile presieduta dalla prof. Carmen Matarazzo. È stato un incontro piacevole, colto, condotto in maniera affettuosa da Carmen. Sul finire è intervenuta una signora, Alba Nastro, che mi ha davvero sorpresa per la sua profonda lettura del mio libro. Ed ora eccola qui, la pubblico volentieri, e voi leggetela. Ne vale la pena. Grazie Carmen, grazie Alba, che bel regalo.

Beatrice, protagonista del romanzo, ci rende partecipe, emotivamente, dei suoi due vissuti, i quali, sospesi tra il tempo passato e quello presente, intrecciati mirabilmente con fili invisibili dalla penna raffinata della scrittrice, raccordano i ricordi di un’infanzia felice con un presente tormentato da dubbi ed incertezze. È alla ricerca di una serenità non più condizionata da falsi pregiudizi e incapacità emotiva, indispensabile per accettare e sostenere azioni e condizioni per la felice convivenza con la figlia Bianca, disabile per “incerta normalità di apprendimento”.
I personaggi, caratterizzati abilmente con descrizioni linguistiche di notevole competenza, presentano al lettore tematiche di straordinario impatto ambientale e sociale. Si alternano figure corrotte appartenenti ad un sistema burocratico irresponsabile e proteso esclusivamente ad un arricchimento economico personale, a personaggi di vita sociale generosi e pronti a sacrificare se stessi con azioni a favore della collettività. L’alta borghesia, ipocrita, interessata a nascondere la propria indifferenza, interviene socialmente con superficialità di fronte ad eventi di povertà e disuguaglianza. È la fragilità e la caparbietà di due figure semplici e sofferenti che hanno subito in prima persona le conseguenze estreme di un ambiente invivibile e malsano, a promuovere e a sensibilizzare la comunità che si impegna a lottare per avere giustizia e condanne dei responsabili corrotti.

LA FABBRICA NEWCHEMISTRY ORMAI È CHIUSA. NEGLI ANNI 80 ROMUALDO INSIEME AD ALTRI OPERAI, SCOIBENTAVA AMIANTO DALLE CARROZZE DEI TRENI DELLE FERROVIE DELLO STATO. MUORE DI ASBESTOSI COME TANTI ALTRI SUOI COLLEGHI DI LAVORO. IL DIARIO PERSONALE DI ROMUALDO, FIGLIO DI MATILDE, ORA CUSTODITO DA AUSILIA, SUA FIDANZATA, RAPPRESENTA UN IMPORTANTE DOCUMENTO PER INIZIARE UNA CONCRETA DENUNCIA SOCIALE DEL DISATRO AMBIENTALE CAUSATO DA POLVERE DI AMIANTO NELLA CITTÀ DI AVELLINO
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Nessuno ha voluto il rispetto di questa nostra terra. Il terremoto è stato una sciagura, ma chi contrabbanda per sviluppo questo pane avvelenato, sta ingannando noi, i nostri padri e i nostri figli. Penso alle parole di Renato, alla sua serietà, alla sua voce commossa. Ci siamo guardati tutti e trenta, ci siamo messi in fila e gli abbiamo stretto la mano, come si fa nel paese per dare le condoglianze ai parenti del morto…
La multa che hanno avuto è altissima, Vito dice che non pagheranno nulla, che questi due hanno appoggi politici, il padrone vero è anche proprietario dell’Avellino calcio, figurati, tutto a doppio, qua succede, che ne vole venì.

RENATO INDICE UN’ASSEMBLEA ALLA QUALE PARTECIPA ANCHE BEATRICE PER RACCOGLIERE LE FIRME DI CONSENSO PER DENUNCIARE IL MISFATTO. CON LA DENUNCIA E I DOCUMENTI CONSEGNATI AGLI ORGANI GIUDIZIARI COMPETENTI, SI CHIEDE SICUREZZA, RIMOZIONE DEL PERICOLO DALLA ZONA INQUINATA DA INCENTE ACCUMULO DI POLVERE DI AMIANTO, RISARCIMENTO DANNI ALLE FAMIGLIE DEGLI OPERAI MORTI
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La ragazza con il rossetto mattone, che per tutto il tempo aveva scritto, si alzò.
“Poche parole, per noi tutti. “O moriranno di fame o moriranno di amianto”, hanno detto quegli ispettori che vennero da Torino a controllare. Perché in questa fabbrica sono stati ignorati tutti i diritti: alla salute, al lavoro, alla vita”.
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Interviene Renato
“Compagni e compagne, amiche e amici, ci siamo riuniti per firmare la richiesta alla procura: si apra finalmente l’inchiesta sulla fabbrica. Perché”, e qui guardò fisso il pubblico in sala, “viviamo nell’ottantasettesimo sito più inquinato d’Italia, altro che verde Irpinia. Non mi dilungo, è tardi, fa anche freddo, vi invito a firmare perché sia aperta un’inchiesta e avviato un processo che condanni chi ha voluto questa fabbrica avvelenata nella nostra città! Mettetevi in fila, tirate fuori un documento di riconoscimento, bene, uno alla volta. Un po’ di pazienza, vi prego, è necessario essere in tanti. Come ha detto don Vittorio: non permetteremo che ci rubino la speranza!”.

IL SUCCESSO DELL’AZIONE DI DENUNCIA È GRAZIE SOPRATTUTTO ALL’IMPEGNO TENACE DEL SINDACALISTA RENATO NIGRO E DI PADRE VITTORIO
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Si voltò. Un uomo con le braccia conserte, poggiato allo stipite della porta, la fissava. Cosa voleva dire con quel sorrisino? Ma vedi in mano a chi siamo capitati? Alto, folti capelli grigi sul collo, Ray-Ban sugli occhi, labbra marcate. Vestiva di blu: un jeans e una maglia di lana pesante, un giaccone a doppio petto aperto, sciarpa e berretto. Se avesse avuto i capelli biondi sarebbe somigliato a Robert Redford ne I tre giorni del Condor. Quel pensiero sciocco la risollevò.
“Renato Nigro” disse l’uomo.
“Beatrice Gatti”.
Una mano ruvida accolse la sua.
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Il prete risultò giovane, con una barbetta a punta, e occhi neri dietro occhiali di osso. “Ha una voce dolce, decisa e mi fissa come se mi conoscesse già”, pensò Beatrice nel presentarsi.

BEATRICE, DOPO 20 ANNI DI LAVORO A FIRENZE, RITORNA AD AVELLINO PERCHÉ EREDE DI UNA PROPRIETÀ DELLA NONNA ORMAI DECEDUTA. SI ISCRIVE ALL’ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO DELLA CARITAS, ESPRESSIONE DI UNA BORGHESIA IPOCRITA ALLA QUALE NE FA PARTE ANCHE MARIA NIVES, CUGINA ED AMICA D’INFANZIA. A CASA DELLA CUGINA PERCEPISCE DAL PRIMO MOMENTO LA CORRUZIONE DI EDUARDO, FIDANZATO DI MARIA NIVES
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Lei aveva guardato la tovaglia di fiandra, le posate d’argento e i bei piatti di porcellana, le gouaches azzurre e rosse sulla parete del camino. Era tutto apparentemente perfetto, rassicurante, nello stile di famiglia. Eppure, a respirare profondamente in quell’aria, Beatrice avvertiva un afrore impercettibile di polvere guasta, come di garza marcita su una ferita secca, di fiori imputriditi in un vaso. Guardò Eduardo, quella sua bocca asimmetrica e quella sua cravatta di seta luccicante, poi Oxana, fissò la cicatrice sotto il collo, come se qualcuno avesse tentato di sgozzarla, Ugo, con la barbetta a mezza faccia, sugnoso e intrigante come il padre notaio, Maria Nives che bisbigliava comandi alla cameriera, perché tutto risultasse perfetto, il bambino che spargeva palline di mollica, senza che nessuno badasse a lui. Fu presa da un moto di tenerezza e di distanza. Che ne sapevano loro della sua vita e lei, che ne sapeva della loro? Ebbe voglia di dire qualcosa di sproposito per rompere quell’equilibrio di sorrisi e bocconi come tante volte aveva fatto in passato. Ma non poteva più giocare alla pazza di casa. Si limitò a dire: “Certo la carità, è proprio una bella sfida!”.
Maria Nives a quelle parole le lanciò un bacio, alzò la coppa dello spumante verso Beatrice e brindò al suo ritorno.

BEATRICE È MOLTO CRITICA VERSO MARIA NIVES IN QUANTO CAPACE SOLO DI AVERE PIETÀ E DI NON AMARE
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A lei piaceva annegare nel conformismo, nell’uniformarsi ai desideri degli altri, nell’apparire impeccabile, sorridente, mai uno sbaffo di rossetto, una ciglia lacrimosa
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Tramestio di piatti, posate, bicchieri, mi scusi, solo un cucchiaio, tanto per assaggiare, ho provato, buono, piccante, tiepido, ottima la parmigiana di melanzane. Il buffet era la cifra della civiltà di un popolo, pensò Beatrice, e fissò, accanto alle pietanze, la calca dei corpi sgomitare per riempirsi il piatto.
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“Adesso però sai. È per gente come te, che non si sforza di comprendere, ma conosce il pietismo, che io non ho mai portato mia figlia a casa. Io voglio che lei viva nell’amore”.

E’ A CASA DI EDO A FESTEGGIARE MARIA NIVES. FERNANDA E CATERINA, FIGLIE DI EDO PARLANO DI COSE FUTILI. BEATRICE DIFENDE LA CLANDESTINITÀ MINACCIATA DALL’IPOCRISIA DEI PRESENTI E RIBALTA IL CONCETTO DI CARITÀ
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Beatrice ascoltava senza curiosità, guardava il fuoco, contava i minuti. Ma alla frase non ne possiamo più di clandestini che sfiorano la legalità e che trovi ad ogni angolo della strada, lei si riprese.
“Che cosa vi tolgono?”.
“Non tolgono nulla, ma pensi alle conseguenze, se fossero tutti a vendere fiori, a occupare ogni piccolo spazio della nostra città con le loro numerose famiglie, noi dove andremmo?”.
“Potremmo andare noi da loro e capire perché tentano di fuggire”.
“Noi da loro? A fare cosa? Ma si rende conto?”
Oxana la implorò con lo sguardo.
“Esiste lo scirocco, il maestrale, un mare, un’isola, una terra, un approdo al di là del nostro microscopico mondo”.
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Era quella la carità, quindi: preoccuparsi per gli altri, anche per chi non si conosceva, per un bene comune, per un vivere libero e decoroso, non procurare abiti dismessi e pacchetti di viveri in
scadenza

IL SUO PRIMO INCARICO DA PARTE DELL’ASSOCIAZIONE È CONVINCERE MATILDE E AUSILIA, ARROCCATE PRESSO LA FERROVIA A SCAVARE, CON POCHI ATTREZZI, LA RUVIDA TERRA, ALLA RICERCA DELL’AMIANTO CHE AVEVA DETERMINATO LA MORTE DI ROMUALDO. BEATRICE È SCONVOLTA DA CIÒ CHE SI TROVA DI FRONTE AL LORO PRIMO INCONTRO
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“La giovane si chiama Ausilia, la più anziana Matilde. Hanno un aspetto orribile, soprattutto Ausilia che è magra e gialla. Matilde non ha gli incisivi e ha le labbra piegate in dentro, sta attaccata alla giovane, sempre a sussurrarle qualcosa all’orecchio”.
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Un cappotto lungo fino ai piedi, cappello nero a pois bianchi di pile, alto e floscio, “come quello dei Puffi” pensò Beatrice, accanto a un cappotto scuro, altro cappello bianco a pois nero, calato sugli occhi, due visi scuriti dal sole, piatti, naso adunco, bocca larga, una dipinta con rossetto viola, mani intrecciate. La testa della donna giovane era poggiata su quella dell’altra più anziana, da lontano sembrava che formassero una goccia oblunga.
Mai da bambina, quando andava ai giardini con la tata Giovanna, o da adulta al teatro, Beatrice aveva visto una scena così. Perché quelle due forme erano immobili e così compenetrate da sembrare una sola.

BEATRICE È IN UN LENTO MA CONTINUO PERCORSO DI CRESCITA INTERIORE. LA SPERANZA DEL CAMBIAMENTO LE VIENE DATA OSSERVANDO IL QUADRO AFFISSO ALL’INTERNO DELLA PARROCCHIA DOVE SI RECA PER SOCCORRERE AUSILIA E MATILDE LEGATE CON CORDE, A PROTESTA DELLA MORTE INGIUSTA DI ROMUALDO DI CUI LA SOCIETÀ NE ERA RESPONSABILE
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Entrando dal portone principale, entrambi furono investiti dalle luci dell’affresco immenso che campeggiava dietro il crocifisso. Beatrice lo ammirò affascinata.
Per prima vide una sagoma di donna con un fazzoletto rosso in testa, alle spalle i suoi figli nudi accoccolati sulle macerie della casa, e più avanti san Francesco che adunava il popolo, un gruppo di bombardieri e il fungo dell’atomica, una processione di croci, soldati, fucili, partigiani impiccati, bambini urlanti, folle di contadini in marcia. Quell’affresco raccontava del dolore del mondo, della guerra, della pace. Beatrice avanzò lungo il corridoio centrale, lo sguardo attratto dalla figura della contadina stretta nel grembiule scuro, il viso scavato, che in mezzo alla folla e alle rovine della sua casa, fissava il cielo. Quella donna aveva visto in faccia la morte e aveva distolto lo sguardo senza chinare il capo. Aveva speranza, sapeva guardare avanti. Ferma, dignitosa, le mani lungo i fianchi, esprimeva la forza di chi è pronto a lottare per la sua vita e per quella dei suoi figli. Era il fazzoletto rosso allacciato sulla nuca a rivelarlo, pensò Beatrice, fissandola senza riuscire a distogliere gli occhi. Quasi inciampò nella corda che era tesa tra i banchi.

BEATRICE RITROVA LA FELICITÀ. È A CENA CON RENATO
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Renato si versò un bicchiere di vino rosso dalla brocca. La luce sulla tavola apparecchiata con i piatti di ceramica di Vietri, il caldo del camino, i rumori della cucina, le voci di Giuseppe e Ausilia dalla veranda ricordarono a Beatrice le serate di estati passate, quando si aspettava sotto il patio di veder comparire Giovanna con la zuppiera di linguine agli scampi, mentre i grandi parlottavano del più e del meno e i bambini giocavano a Monopoli. Accarezzò la tovaglia di lino color lavanda, accese la candela al centro della tavola, si versò del vino e si sentì nel suo mondo. Forse era la felicità quel tepore che arrivava improvviso in mezzo al petto, scioglieva la stretta al cuore con cui si era abituata a vivere e concedeva un po’ di spazio al domani.

BEATRICE SI RECA A SAN MARCO NEL CILENTO NELLA CASA DELLA NONNA, CON BIANCA ED AUSILIA PER SFUGGIRE AL VENTO COLMO DELLE PERICOLOSE POLVERI DI AMIANTO CHE, MINACCIOSO, IMPERVERSA SU AVELLINO. LA SUA INFANZIA RITORNA DOLCE E RASSICURANTE, LEGGERA E PROPIZIATRICE PER UNA NUOVA E MERAVIGLIOSA IDENTITÀ
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“Slummslumm”, disse ad Ausilia e quella rise, le piacque il suono e mimò con le mani il flusso di un’onda. Bianca fece di sì. Beatrice le osservava, dal salotto, mentre cercava un disco per celebrare il silenzio. Slummslumm, e le apparve il mare, quello della sua infanzia, la casa della nonna in Cilento ed ebbe come un’illuminazione.
La casa risuonò delle Variazioni Goldberg di Bach.
“Che leggerezza”, pensò Beatrice, “adesso mi metto a parlare con gli angeli, e che dico? C’è una piega del vostro abito che mi può contenere, posso io diventare azzurra come l’aria e ritornare trasformata sulla terra? Un’altra Beatrice, veloce, scattante, allegra e non questa donna che ha paura di prendersi le sue responsabilità. Un’onda, mille gocce, un ricciolo di vento, e poi tanta sabbia, bagnasciuga, orme, una piccola, una grande, un fiore d’acqua e un pesce azzurro, lo scoglio appuntito, tuffi, corpi nell’aria e nella spuma, che leggerezza”.
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Nel prato crescevano liberamente cespugli di rose, forsizie, lavanda, oleandri. La fila di agavi lungo il sentiero era gigantesca. “Come si sono accresciute, sembra ieri quando Pulvina le piantò con la mamma”, ricordò Beatrice con Antonietta. Faceva da siepe alla casa, in fondo, sul lato destro un folto gruppo di alberi dal tronco alto e sottile, dai rami nodosi, che attrasse la curiosità di Ausilia.
“Sono le jacarande, gli alberi preferiti di mia madre. Li volle piantare dopo averli visti nella villa di un’amica, a Santa Maria. D’estate producono fiori a grappolo, azzurri, e formano un’ombra che sembra la grotta di Capri”, spiegò Beatrice.
Come aveva potuto dimenticare che era la sua casa più amata, quella dell’infanzia, dove ritrovava tutto ciò che aveva vissuto, un pezzo alla volta. E’ altro che si dimentica e non lascia traccia: la serie di giorni trascorsi a svolgere un lavoro che non appassiona, gli appuntamenti senza amore accettati per riempire una serata, le telefonate ossessive con persone che si sono poi perse di vista. Quello che si ricorda dell’infanzia, è per sempre.
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“Ho avuto una bella infanzia. E tu?”, disse Beatrice ad Ausilia.

BIANCA, INCOSCIENTE PER LA SUA OGGETTIVA DISABILITÀ, SCAPPA. BEATRICE LA RITROVA IN SPIAGGIA. IL RICORDO DI SUA MADRE, STELLA, LE RIEMPIE IL CUORE DI INFINITA TENEREZZA. BIANCA, PRESENTE DEFINITIVAMENTE NEL CUORE DI BEATRICE, È IL SUO SOFFIO VITALE, LA FORZA DIROMPENTE PER UNA VITA D’AMORE E DI COMPLETA DEDIZIONE
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Ricordava, mentre aveva ormai imboccato l’autostrada e sfrecciava sui viadotti tra le montagne, che la madre si risvegliò e mormorò chi mai le facesse il solletico, e le sembrò, assonnata com’era, una piccola Biancaneve che sorrideva al solo nano rimastole fedele. “Sono io, mamma”, le sussurrò Beatrice, e tutte le parole di rimprovero che aveva pensato le rimasero in gola. E lei Stella, la povera Stella, fece un gesto che non avrebbe mai dimenticato: le scostò i capelli dal viso e la baciò sugli occhi.
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Non dormì, Beatrice, in quel tardo pomeriggio di marzo. I ricordi di Bianca le tornavano in mente, come foto che non avevano posto in un album. Era tutto un gran disordine. Ma era così che doveva andare la sua vita, nessuna regola precisa, solo un principio di casualità e di necessità, che componeva le sorti sue e di sua figlia. Era contenta, in quel momento e tanto le doveva bastare. Quell’attimo, quella luce, quell’acqua di mare in cui avevano camminato insieme e si erano strette l’una all’altra era davvero tanto
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“Mamma”, pronunciò con calma Bianca. Allungò la mano sulla focaccia, ne afferrò un pezzo anche lei.
Si fece silenzio. Nessuno osò più parlare. Solo Ausilia portò le mani sul cuore.
Beatrice guardò sua figlia. Avrebbe voluto dire qualcosa. Non ci riuscì.
Sperò con tutte le sue forze di aver sentito bene.
Quella sola parola, che però bastava.

L’AUTRICE, ALLA FINE DELLA NARRAZIONE, CI REGALA UN’ULTIMA IMPORTANTE RIFLESSIONE.
MICHELE E RENATO SONO IN MACCHINA PER CONSEGNARE I DOCUMENTI ALLE AUTORITA’ COMPETENTI RIGUARDO LA CONTAMINAZIONE DELLA FABBRICA
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“Se ognuno di noi svolgesse seriamente il suo compito nella vita, come le formiche operaie, saremmo a buon punto nel mondo. E avremmo in mano il nostro futuro”. “Nel senso che? Spiegati”, chiese Michele.
“Il problema è capire quale sia davvero il nostro compito. Quello che ci scegliamo o quello che ci attribuiscono”, commentò Renato.
“Che riflessione! Credo quello che ci scegliamo, con tutti i limiti e le difficoltà”.

GRAZIE A EMILIA BERSABEA CIRILLO

Azzurro Amianto

Il Mattino 16 ottobre 2022 di Generoso Picone