Scrivere romanzi

Un brano tratto da una recensione di Natalia Ginzburg al libro di Elisabeth Smart “ Sulla fiumana della Grand Central
station mi sono seduta e ho pianto.” Edizione il Saggiatore 1971 – trad. Rodolfo Wilcock

“…È noto che ci sono due modi di scrivere i romanzi. Un modo è costruire, architettare, fare calcoli nella propria testa come in un pallottoliere, spostare luoghi e persone pesanti come macigni. Chi scrive si sente forte, stanco, prepotente, paziente, autoritario, aggres­sivo, virile. Si sente a pezzi come se avesse fatto un trasloco. Nella sua testa, le sue faticose costruzioni hanno una consistenza ferrea e pungente. Si sente la testa piena di chiodi e di spilli.

L’altro modo è non costruire nulla, non architettare nulla e restare se stesso. Chi scrive non si sente forte ma debole, languido e molle. Spera che la poesia e la vita fluiscano dal suo languore. La sera non si sente stanco, ma nervoso. Non si sente né paziente né prepotente ma attonito e stupefatto. Non si sente la forza nemmeno di strappare un filo d’erba. Ha solo voglia di starsene buttato per terra a piangere.

Chi scrive sa che dovrà scegliere fra l’ordine e il disordine. Oggi noi di solito scegliamo il disordine. L’im­pulso a costruire e architettare in ordine e in armonia con noi stessi e con gli altri sembra scomparso dal mon­do. Abbiamo perduto le forze e ci sentiamo sopraf­fatti e infelici. Ci sentiamo vittime e le vittime non costruiscono. I romanzi che oggi scriviamo, sempre o quasi sempre, sono scritti nel disordine e in un lungo sfogo di lagrime. A volte qualcuno, fra le lagrime, afferra del mondo circostante qualche lembo reale. Non ha compagni o non li vede intorno a sé e non indirizza la sua angoscia ad anima vivente. Tutt’al più chiede un poco di attenzione ai rari passanti che si sof­fermano per un attimo e vanno oltre. …”

Da “ Vita Immaginaria” di Natalia Ginzburg Einaudi editore