Piccoli fuochi ( o anche piccoli fiori)

Ci sono piccoli fuochi accesi in Irpinia, che ardono indipendentemente dal tempo e dallo spazio. Sono fuochi fatti di parole, di un sentire profondo, di un desiderio di essere nel mondo. A volte questi fuochi sono impercettibili e nascosti, che bisogna scovarli in gran segreto, mettersi in cammino attratti dalla loro luce, percorrere strade disagiate, per arrivare in paesi spopolati e bussare alle porte segnate dal bagliore.

A socchiudere le porte e a dirci di entrare senza troppo rumore, ci sono uomini e donne che nel loro quotidiano fanno altro, professioniste/i, insegnanti, pensionate/i, studentesse, studenti, contadine/i, che tutte le volte che possono, tirano fuori carta, penna, o accendono il computer e si mettono al lavoro. Queste donne e questi uomini hanno a cuore la cura delle parole. Si prendono così facendo, forse non lo immaginano neanche, anche cura di sé stessi: mettono da parte quello che sono stati fino ad un momento prima, con qualche timore e reticenza lasciano libertà al loro sentire, scavano tra sentimenti, ricordi, tra qualcosa che li ha toccati e poi scrivono. Soprattutto poesie.

Già, la poesia, un’arte difficile, forse la più difficile che si possa immaginare. Non è cosa da poco rendere una visione con scarne parole, farsi attraversare da un lampo, comunicare uno stato d’animo. Eppure, in quei paesi battuti dal vento e dalla solitudine, così lontani a volte che solo a nominarli si fa fatica ad arrivarci, si mettono insieme immagini, emozioni, racconti, si setacciano le parole, si scelgono quelle utili, e si compone, dopo aver provato e riprovato, letto ad alta voce, cancellato, bruciato, riscritto, una piccola catasta fatta di un lessico, di un senso e di una forma che appartiene solo a chi l’ha messa su. E così , credo, che nasca una poesia. O qualunque pezzo di prosa.

Poi c’è chi conosce e mette insieme questi piccoli fuochi, in un’opera necessaria di costruzione di una rete, forse di una trama, portando il filo della poesia su e giù per l’Irpinia, da Grottaminarda, ad Ariano, San Nicola Baronia, Avellino, Capriglia, Bisaccia, Teora, fino ad arrivare nel Sannio, a cercare altre parole, altre voci, altri dialetti.

Ieri mi sono scaldata a questi piccoli fuochi che si sono ritrovati a Grottaminarda, per presentare l’antologia ( che vuol dire scelta di fiori, come ha ricordato Maurizio Picariello, dunque potremmo parlare di piccoli fiori, riferendoci alla poesia)  dei poeti del castello d’Aquino, Tempra Edizioni, a cura di Giuliana Caputo e Franca Molinaro, instancabili nel loro lavoro di ricerca e di animazione culturale, oltre che di scrittura.

E ho provato, ascoltando i poeti che si sono succeduti nella lettura, conforto, a volte meraviglia. E’ questo dunque restare in un luogo, sollevare le pieghe della terra che calpestiamo e scoprire, come in una sorta di scavo archeologico, pietre lavorate, bronzi e conchiglie fossili? Indagare, procedere, curiosare, dar valore, connettere, conoscere e scriverne, scriverne sempre?

 Le voci si succedevano emozionate, sicure, lente, veloci, ma erano le parole a tenerci vicini, tutti, in quella sala di un castello irpino, mentre fuori la luce trasmutava e baciava una testa in marmo di fanciullo, che mi stava di fronte, in una teca.

Grazie a tutti i poeti per questa giornata vissuta in semplicità e amicizia, grazie di cuore.